L’IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA ALL’ASSISTENZA DEL DISABILE DA PARTE DEL DIPENDENTE FRUITORE DI PERMESSI EX ART. 33 L. 104/92 NON LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 26956 DEL 22 OTTOBRE 2019.
Gentili clienti, La Corte di Cassazione, sentenza n° 26956 del 22 ottobre 2019, ha statuito che l’impossibilità sopravvenuta per ragioni gravi ed eccezionali, intervenuta durante la fruizione di permessi ex art. 33, comma 3, legge n°104/1992, non integra la possibilità da parte datoriale di intimare il provvedimento del licenziamento per giusta causa.
Nel caso de quo, un dipendente in permesso per l’assistenza al padre disabile, al verificarsi di un imprevisto (infiltrazioni d’acqua nell’immobile di proprietà) era stato costretto a trascurare l’assistenza per dedicarsi agli urgenti lavori di manutenzione della propria abitazione.
La Corte di Appello di Salerno aveva respinto il reclamo della società datrice avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore e condannato la società alla reintegrazione dello stesso nel posto di lavoro, con conseguente pagamento di un’indennità pari a cinque mensilità, oltre accessori ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento alla effettiva reintegrazione. La conferma della illegittimità del licenziamento, fondato sulla contestazione di non avere utilizzato i tre giorni di permesso mensile exlegge n°104/1992, era stata motivata con la considerazione che la fattispecie in esame non appariva, in concreto, di gravità tale da giustificare la risoluzione del rapporto.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società datrice deducendo che il dipendente aveva riconosciuto il fatto materiale ascritto, confermando di non avere prestato assistenza continua al genitore nei tre giorni oggetto di permesso retribuito.
Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che il permesso mensile retribuito ex legge n°104/1992 costituisce espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave. Trattasi di uno strumento di politica socio-assistenziale, che è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale.
E’ escluso altresì, hanno continuato gli Ermellini, che alla fruizione del permesso possa connettersi una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile o, comunque, la possibilità di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle per le quali è stato concesso.
La sentenza impugnata, hanno argomentato gli Ermellini, non si pone in contrasto con i principi sopra enunciati nel puntualizzare il dovere del lavoratore di non abusare dei permessi in un’ottica di correttezza e buona fede, riconoscendo che l’uso improprio del permesso può giustificare la sanzione espulsiva; tuttavia, considerato che non vi era prova del venir meno dell’assistenza per l’intero giorno, la conferma della illegittimità del licenziamento è stata frutto della ritenuta non proporzionalità della sanzione espulsiva.
La sentenza impugnata ha infatti ritenuto “non adeguatamente contestata, né comunque smentita da contrari elementi probatori, la natura imprevista ed occasionale dell’evento che ha determinato la necessità di svolgere i lavori nel locale di proprietà del lavoratore e di ridurre la presenza presso il domicilio del padre“.
IL CONSULENTE
IVAN BEVILACQUA